sabato 20 Aprile 2024
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Ai tempi di Masaniello la diffusione del baccalà a Somma e S. Anastasia

Libri. Storia, costume e società nel libro dello scrittore Nino Leone “La vita quotidiana a Napoli ai tempi di Masaniello”. All’interno dell’opera il racconto su come si diffuse il culto gastronomico nei paesi vesuviani di “sua maestà il baccalà”.

Le viscere di piazza Mercato e di tutta Napoli ribollivano come la lava del Vesuvio, un miscuglio di patrimoni genetici plasmavano la società seicentesca di una realtà non molto lontana da quella di oggi. Passioni e tormenti della vita quotidiana dell’epoca, e icona di quel secolo che tanto è caro alla storia partenopea certamente è lui il lazzarone ribelle: il generalissimo Masaniello. E’ tutto questo il libro “La vita quotidiana a Napoli ai tempi di Masaniello” dello scrittore Nino Leone. Edito da Alessandro Polidoro, il libro non è un racconto qualsiasi ma una vera e propria finestra sulla storia, soprattutto su una Napoli capitale del mondo. Leone racconta con scrupolosità la geografia politica di quegli anni, l’urbanistica, l’economia, le epidemie, ma anche l’arte, la cultura, la storia dei conservatori, il teatro, il malaffare, l’eruzione seicentesca del Vesuvio.  Nel libro troviamo tutto ciò che infuocò quel 7 luglio del 1647, quando al grido: “Viva il re di Spagna. Moia il malgoverno” la “lava” incandescente dei lazzaroni iniziò a scorrere per piazza Mercato. Storia, costume e società, quindi, i cardini centrali dell’opera e quello che risalta agli occhi dei lettori che vivono nel vesuviano è certamente l’origine della diffusione di uno dei piatti tipici del luogo: “sua maestà il baccalà”. La storia della diffusione dell’ascella del baccalà, sicuramente farà piacere agli abitanti sommesi e anastasiani, che da secoli hanno incoronato il merluzzo nordico “boccone del Vesuvio”. Tutto ha origine dal santuario di Madonna dell’Arco, in particolar modo dai monaci domenicani che durante il periodo quaresimale obbligavano i fedeli a rispettare i centocinquanta giorni di magro. Il popolo vesuviano, che pur doveva sopravvivere al digiuno imposto dalla tradizione, nel periodo di penitenza iniziò a rifornirsi e soprattutto a cibarsi di baccalà, sia per il costo ridotto che per la facile conservazione. Ma non solo questo viene raccontato nel libro di Leone, alle nostre terre poste alle pendici del Somma vengono dedicate anche altre pagine di ricerca etnostorica: come le origini dei “casali” vesuviani, i vitigni dell’epoca, l’architettura del santuario mariano di Sant’Anastasia. Una storia che riecheggia nelle nostre menti, che ci bussa ogni qualvolta ci ritroviamo nei luoghi teatro di antichi rivoluzioni: politiche, artistiche e socioculturali. Masaniello è il simbolo di quegli anni, la chiave di volta per capire i napoletani: “storia di dominati e dominatori” come ama scrivere lo scrittore. Leone poi ancora ci spiega che “un’atavica forza di sopravvivenza ha dato alla città le basi di un’autonomia e di un’indipendenza tanto materiali quanto culturali”. E qui entra in gioco l’innata forza del popolo partenopeo, quell’energia arcaica assorbita dal sottosuolo vulcanico che lo imprigiona nelle fiamme di una passione che da secoli nessuno ancora è riuscito a spegnere.

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