Marigliano. Dal candidato Giovanni Piccolo riceviamo una lettera che pubblichiamo.
C’è una verità che puzza più dei rifiuti. E non è quella che si vede, ma quella che si nasconde. Marigliano,non è solo una vittima collaterale dell’emergenza rifiuti in Campania: è una prova vivente di una criminalità istituzionale, travestita da inefficienza, omertà e promesse elettorali.
Negli anni in cui la Regione Campania era dichiarata “zona rossa ambientale”, con le falde avvelenate e i campi saturi di veleni interrati, Marigliano era tra i comuni più colpiti. Le campagne tra Boscofangone, Pontecitra e Faibano sono diventate il cimitero invisibile di rifiuti industriali del Nord Italia, smaltiti con la regia logistica della camorra e l’indifferenza complice dei governi centrali.
Secondo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Carmine Schiavone, già nel 1997 lo Stato sapeva. Aveva in mano mappe, luoghi, quantità e gravità dell’inquinamento. Ma quei verbali furono secretati, insabbiati, sepolti – proprio come i fusti tossici che hanno contaminato il sottosuolo mariglianese.
Nel silenzio tombale della politica, l’ecomafia prosperava: guadagnava miliardi smaltendo illegalmente scarti chimici sotto le strade, tra le vigne, accanto ai pozzi.
E Marigliano?
Un paese trattato come una colonia ambientale, senza tutele né bonifiche. Solo parole, passerelle, proclami. I militari mandati da Roma nel 2008 per “ripulire la Campania” (governo Berlusconi) erano più una trovata mediatica che una soluzione strutturale. Nessuna vera mappa dei siti inquinati, nessuna condanna politica, nessuna assunzione di responsabilità.
Le responsabilità? Trasversali. Dai governi centrali ai commissari straordinari, fino a quegli amministratori locali che hanno barattato la salute pubblica con l’assistenzialismo politico.
Tutti pronti a negare, a minimizzare, a “non sapere”. Eppure, tra il 2000 e il 2010, Marigliano era tra i comuni con il più alto tasso di tumori infantili in Campania. Coincidenze?
Nel 2025, mentre nuovi candidati si affannano a promettere la luna, nessuno parla delle falde inquinate, dei suoli contaminati, delle famiglie distrutte dalle malattie. Si promettono parchi, teatri, centri giovanili. Ma nessuno dice la verità: che prima di costruire, bisogna bonificare. E che per bonificare, bisogna indagare. E per indagare, serve il coraggio di fare nomi e cognomi, anche se sono scomodi.
In questa campagna elettorale, tutti parlano di futuro, ma pochi osano guardare nel passato recente. Perché farlo significa riconoscere una responsabilità collettiva, ma soprattutto politica.
Ecco perché non si possono promettere cose impossibili, ma almeno si può pretendere che la verità sia disponibile per tutti.
Come possiamo affidare la nostra città a coloro i quali hanno sempre chiuso entrambi gli occhi?

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