venerdì 29 Marzo 2024
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Napoli. Vuoti urbani e bonifiche mai partite, la periferia che vuole rinascere

Napoli. Avrà un gran da fare il fututo sindaco di Napoli, soprattutto nel mantenere fede alle promesse fatte in campagna elettorale. Infatti nelle progettualità di tutti i candidati c’è un futuro green per la città, ma la situazione è molto più complicata e trova radici molte profonde: abbandoni strutturali, sversamenti illegali, bonifiche mai partite e un mare da recuperare. Il lavoro per far rinascere Napoli e trasformarla in città ecosostenbile è molto complicato e richiede un lavoro complesso che probabilmente durerà anni. Tra le spine nel fianco c’è quella di Napoli est, della zona deindustrializzata e abbandonata a se stessa. É la Bagnoli di cui quasi nessuno parla. Era conosciuta come la Valle del Sebeto, oggi invece è un contenitore di vuoti urbani, abbandonati a causa della delocalizzazione che ha visto questa periferia, dal secondo dopoguerra agli anni 80, svuotarsi delle sue fabbriche. Territorio, oggetto di una grande urbanizzazione industriale e poi abbandonato a se stesso con grandi e cupi scheletri di cemento e ferro nel suo ventre. La sesta Municipalità che comprende i popolosi quartieri di Ponticelli, Barra, San Giovanni come la seconda (Mercato, Pendino, Montecalvario, Avvocata, San Giuseppe) e la quarta ( S. Lorenzo, Vicaria, Poggioreale, Zona Industriale), grazie o sfortunatamente la loro vicinanza al porto fecero si, dal periodo borbonico a quello del primo dopoguerra, che si formasse un grande agglomerato industriale. Con l’ingresso dei nuovi operai nella Napoli “avanguardistica” nacquero numerosi complessi di edilizia popolare destinati alle famiglie della nuova classe di lavoratori, ma negli anni successivi alla deindustrializzazione e allo spostamento della classe operaia verso nuove aree, alcuni di quei lotti composti da formicai di “palazzine” si sono trasformati in vere e proprie “borgate” degradate e alcuni rioni sono diventati fortini di camorra. Lo sfregio pìù evidente, che notiamo a ridosso della statale, è quello delle raffinerie. Diciassette serbatoi su 50mila mq di terra, dove 40 anni fa si contava una produzione di milioni e milioni di tonnellate di petrolio. Era il dicembre del 1985 quando una terribile esplosione causò la morte di 4 persone e miliardi di danni. Il disastro ambientale che ne conseguì fu terribile: oltre all’aria irrespirabile i liquami finirono in mare. Alcuni operai morirono dilaniati, due donne che abitavano nelle vicinanze persero la vita nel crollo delle loro abitazioni. Il quartiere di Vigliena per molti anni visse con l’incubo che l’infausto episodio si ripetesse, l’incendio fu tra le cause principali della delocalizzazione residenziale di quell’area, anche per gli ingenti danni causati alle abitazioni. E poi ancora strutture abbandonate e pericolanti, “ seminate” a macchia di leopardo nella piana orientale, dove attualmente in alcune trovano ricovero, tossicodipendenti e persone senza fissa dimora. Il complesso Corradini, ad esempio, o quel che ne rimane, è situato a San Giovanni a Teduccio ed è ritenuto oggi una vera e propria opera di archeologia industriale. Sorto nel 1872, quasi in concomitanza con le prime linee ferroviarie, era una perla del settore metallurgico ma poi abbandonato progressivamente dopo la seconda guerra mondiale. Nonostante la sua morte operaia sia avvenuta definitivamente nel 1949, è riconosciuto come un complesso di alto valore storico e sociale, passato al Comune nel 2013, circa 10 mesi fa l’assessore all’Ambiente Raffaele del Giudice ha scritto sui social l’intervento per la rimozione di amianto. Molte sono state le idee esposte negli anni intorno alla fabbrica Corradini; dalla creazione di un’Università ad un polo socio culturale, ma ad oggi però, nonostante i buoni propositi, abbiamo ancora i resti di un vuoto urbano che potrebbe rinascere a nuova vita ma rimane ancora in profondamente in coma. Dall’ex complesso Corradini di San Giovanni ai resti del mercato ittico ( si pensi che la sua realizzazione risale al 1932 e progettatto dal noto architetto e urbanista napoletano Luigi Cosenza)  in piazza Duca degli Abruzzi nei pressi del ponte della Maddalena. La struttura  è un esempio di architettura razionalista, fu una delle prime opere di Cosenza a Napoli poco costosa ma funzionale, secondo gli esperti dell’epoca. Inutile scrivere che anche quest’ultimo edificio versa in uno stato di abbandono, diventato ormai ricovero a cielo aperto di senzatetto, uomini e donne completamente dimenticati dalle istituzioni. Queste sono solo alcune delle strutture industriali dimenticate che caratterizzano la periferia est di Napoli, aree che hanno bisogno urgentemente di bonifiche, riqualificazione e rilancio socio culturale, storico ed economico. Un esempio positivo invece è quello del progetto realizzato nell’area dell’ex conservificio Cirio a Giovanni a Teduccio, oggi polo univeristario della Federico II che ospita un campus dinamico e nuove aziende high-tech. Insomma un oasi nel deserto, riprova però come sia possibile cambiare rotta. Ma al rilancio dell’area ex Cirio, che a distanza di qualche anno dall’inizio del progetto va ancora ultimandosi, si contrappongono ancora diversi vuoti o opere di archeologia industriale, come preferiamo chiamare queste strutture che come il “San Giovanni Hub” possono rappresentare una vera e propria risorsa. Il nuovo primo cittadino di Napoli ha il dovere, civile e morale, di restituire questa periferia ai napoletani con servizi e decoro urbano, il progetto “San Giovanni Hub” non deve essere un traguardo ma un punto di inizio per cambiare il volto alla zona orientale di Napoli.

 

 

 

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