sabato 20 Aprile 2024
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Nassiriya. Vedova Coletta: “Fierezza per quello che è stato mio marito”

Il brigadiere Giuseppe Coletta, nato ad Avola uno dei militari uccisi nella strage di Nassiriya avvenuta nel 2003, Viveva a San Vitaliano. Oggi la sua comunità lo ricorderà con una messa.

Per non dimenticare l’uomo e l’eroe che è stato la vedova Margherita Caruso Coletta ha rilasciato alcune dichiarazioni. “Provo fierezza per quello che è stato mio marito e per come ha vissuto la sua vita, per come è arrivato a quell’estremo dolore con la sua uniforme che gli si è sciolta addosso, senso forte di attaccamento alla divisa, per l’amore che lui e gli altri caduti hanno donato. Resta la consapevolezza di aver avuto accanto un uomo meraviglioso, con miliardo di difetti come tutti noi, ma con la forza immensa del bene, con le mani tesi verso l’altro, come Giuseppe, tutti i caduti hanno sacrificato la vita per valori grandi”.

Anche se sono passati 18 anni dal giorno della tragedia la vedova i ricordi sono indelebili nella sua memoria.  “rimangono anche se sbiaditi perché per Dio ti dà la forza di continuare a vivere e a gioire. Abitavamo a San Vitaliano e quel giorno stavo portando mia figlia, che all’epoca aveva 2 anni e mezzo, dalla pediatra. Si sono susseguite notizie e di corsa sono tornata al nostro alloggio di servizio in caserma, ma arrivavano informazioni frammentate. Ho chiesto subito al comandante e di lì a poco è arrivato il generale dei carabinieri che mi ha detto cosa era accaduto, solo guardandolo ho capito che Giuseppe era tra i caduti”. Quel giorno il brigadiere telefonò a casa due volte, loro si sentivano una volta al giorno, ma forse un presentimento.

Giuseppe Coletta, come gli altri militari di Nassiriya, presto sarebbe tornato in Italia, e parlava con la moglie del quotidiano.

“In Sicilia, per San Martino, si fanno le crispelle e mi chiese se le avevo fatte. Si parlava di quotidianità. Di solito ci sentivamo una volta al giorno, ma quel giorno mi chiamò un’altra volta”. Un presentimento? “Non proprio, non era fondato su un’allerta, ma a volte tra persone che si amano c’è un legame tale che si percepiscono cose senza riuscire a spiegarle. Mi chiese di passarle nostra figlia Maria, ma la bambina diventò seria e mi disse: ‘Con papà non ci parlo perché non torna’. È assurdo Giuseppe mi chiese di baciarla e chiuse la telefonata dicendomi: ‘Ci sentiamo domani'”.

Tanto dolore e tanta sofferenza, che la vedova ha saputo fronteggiare, vi proponiamo uno scritto che lei ha dedicato al suo Giuseppe,

 

Se essere un eroe significa andare lontano

Dal mio paese, dalla mia patria per ridare dignità a un popoloi difficoltà.

senza acqua, luce, cibo…allora lo sono stato.

Se significa rinunciare ia miei affetti più cari,

ai miei amici, alla mia vita di sempre,

per giorni, settimane, mesi… allora lo sono.

Se essere eroe include la condivisione del cibo con fratelli

di altre nazioni, lingue, religione…allora lo sono.

Non mi fa eroe un singolo giorno della mia vita o una bomba che mi ha fatto saltare in aria

l’eroismo, quello vero, sta nel sacrificio, nel come si vive e si agisce, si pensa.

Se proprio mi vuoi definire eroe, fallo per tutta la mia vita vissuta intensamente, senza risparmiarmi mai.

Con passione, dedizione, forza, coraggio e gratitudine verso Dio per quello che mi è stato donato

Si sono un eroe, siamo eroi di quelli che incontri per strada a cui hai stretto

La mano e ti hanno donato un sorriso,

che hanno cercato di rendere questo mondo un po’ migliore,

sacrificando la vita stessa!

Sono stato, siamo stati

Uomini, mariti, padri, amici, figli, fratelli, soldati.

Soldati senza guerra, fieri di essere italiani.

 

 

 

 

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