sabato 20 Aprile 2024
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Ricercatori scoprono una variante genetica che protegge da covid

Identificata una variante genetica specifica che protegge da infezione grave da Covid-19. Lo hanno rilevato i ricercatori del Karolinska Institutet in Svezia a capo di un metastudio internazionale. La scoperta è stata possibile studiando persone di origini diverse, il che sottolinea l’importanza di condurre studi clinici raggruppando dati e informazioni di diversi gruppi etnici. I risultati sono pubblicati sulla rivista Nature Genetics.

La genetica, ricordano i ricercatori, non è responsabile solo dell’invecchiamento e di alcune malattie ad essa correlate ma è in grado di influenzare il livello di gravità di infezione di Sars Cov2 da lieve, moderato a grave. Precedenti studi, condotti principalmente su persone di origine europea, hanno scoperto alcuni individui portatori di un particolare segmento di DNA che hanno un rischio inferiore del 20% di sviluppare un’infezione grave da Covid-19.

Questo segmento di DNA codifica i geni del sistema immunitario ed è ereditato dai Neanderthal in circa la metà delle persone al di fuori dell’Africa. Questa regione del DNA è, tuttavia, ricca di numerose varianti genetiche, il che rende difficile districare l’esatta variante protettiva che potrebbe potenzialmente fungere da bersaglio per il trattamento medico contro una grave infezione da Covid-19.

Per identificare questa specifica variante del gene, i ricercatori hanno cercato individui portatori solo di parti di questo segmento di DNA. Poichè l’eredità di Neanderthal è avvenuta dopo l’antica migrazione fuori dall’Africa, gli esperti  si sono concentrati su individui con origini africane che non hanno l’eredità dei Neanderthal e quindi anche la maggior parte di questo segmento di DNA. Un piccolo pezzo di questa regione del DNA è, tuttavia, lo stesso sia nelle persone di origine africana che in quelle europee.

I ricercatori hanno scoperto che gli individui di origine prevalentemente africana avevano la stessa protezione di quelli di origine europea, il che ha permesso loro di individuare una specifica variante genetica di particolare interesse.

La variante protettiva nel Dna

“Il fatto che gli individui di origine africana avessero la stessa protezione ci ha permesso di identificare la variante unica nel DNA che effettivamente protegge dall’infezione da Covid-19”, afferma Jennifer Huffman, prima autrice dello studio e ricercatrice presso il VA Boston Healthcare System negli Stati Uniti. L’analisi ha incluso un totale di 2.787 pazienti Covid-19 ospedalizzati di origine africana e 130.997 persone in un gruppo di controllo da sei studi di coorte.

L’ottanta per cento degli individui di origine africana portava la variante protettiva. Il risultato è stato confrontato con un precedente metastudio più ampio di individui del patrimonio europeo. Secondo i ricercatori, la variante del gene protettivo (rs10774671-G) determina la lunghezza della proteina codificata dal gene OAS1.

Studi precedenti hanno dimostrato che la variante più lunga della proteina è più efficace nell’abbattere SARS-CoV-2, il virus che causa la malattia di Covid-19. “Il fatto che stiamo iniziando a comprendere meglio i fattori di rischio genetici è la chiave per lo sviluppo di nuovi farmaci contro il Covid-19, afferma il coautore Brent Richards, ricercatore senior presso il Lady Davis Institute del Jewish General Hospital e professore presso la McGill University di Canada.

La pandemia di Covid-19 ha migliorato la collaborazione tra ricercatori in diverse parti del mondo e questo ha permesso di studiare i fattori di rischio genetico in una più ampia diversità di individui rispetto a molti studi precedenti. Ad oggi, infatti, la maggior parte di tutta la ricerca clinica viene ancora svolta su individui di origine prevalentemente europea.

“Questo studio mostra quanto sia importante includere individui di origini diverse. Se avessimo studiato solo un gruppo, non saremmo riusciti a identificare la variante genetica in questo caso”, afferma l’autore corrispondente dello studio Hugo Zeberg, assistente professore presso il Dipartimento di Neuroscienze del Karolinska Institutet.

 

 

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