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I Marlene Kuntz a Napoli

A un anno di distanza dal concerto dei Marlene ospitiamo nel nostro spazio la cronaca di Martino Giaquinto, bassista dei Wi-LiamRose


Il tour teatrale dei Marlene Kuntz fa tappa di nuovo a Napoli dopo la data dello “Slow” al “Duel Beat” di un anno fa. Mercoledì 19 marzo ’08 la band italiana si esibisce in uno straordinario concerto al “Teatro Palapartenope”, dimostrando ancora una volta che la musica italiana è capace di rendere forti emozioni, mescolate a citazioni letterarie che offrono spunti di riflessione su temi che molto spesso sono banalizzati dalla musica commerciale. Il concerto ha inizio con un passo tratto da “La vera vita di Sebastian Knight” di Vladimir Nabokov, l’opera da cui Cristiano Godano, cantante dei Marlene Kuntz, ha preso spunto per la composizione dell’ultimo album, “Uno”. Questo ti farà soffrire, mio povero amore. Il nostro picnic è finito; la strada è buia, piena di buche, e sull’auto il bambino più piccolo comincia a sentirsi male. Un povero sciocco ti direbbe: devi essere coraggiosa. Ma qualunque cosa io possa dirti per farti animo o consolarti sarà come una minestrina insipida – tu sai quello che voglio dire. Tu l’hai sempre capito. La vita con te è stata incantevole – e quando dico “incantevole” intendo canti e voli e viole, e quella morbida, rosea “v” nel mezzo, e quelle sillabe sulle quali si incurvava indugiando la tua lingua. La nostra vita insieme è stata alliterativa, e quando penso a tutte le piccole cose destinate a morire, ora che non le possiamo più condividere, sento come se fossimo morti anche noi. E forse lo siamo. Vedi, quanto più grande era la nostra felicità, tanto più sfumavano i suoi bordi, come se i contorni si sciogliessero, e ormai essa si è dissolta del tutto. Non ho smesso di amarti; ma qualcosa è morto in me, e nella nebbia non riesco a vederti… Questa è tutta poesia. Io ti sto mentendo. Vigliacco. Niente è più vile di un poeta che mena il can per l’aia. Credo che tu abbia intuito come stanno le cose: la solita dannata formuletta, “un’altra donna”. Con lei sono disperatamente infelice – ecco, questo almeno è vero. E penso che non ci sia molto altro da aggiungere su questo lato della vicenda. Non posso fare a meno di pensare che nell’amore ci sia qualcosa di essenzialmente sbagliato. Tra amici si litiga o ci si perde di vista, e anche tra parenti stretti, ma non c’è questo spasimo, questo pathos, questa fatalità che sta attaccata all’amore. L’amicizia non ha mai l’aspetto di una condanna. Perché, cosa succede? Non ho smesso di amarti, ma poiché non posso continuare a baciare il tuo caro, pallido volto, dobbiamo lasciarci, dobbiamo lasciarci. E perché? Perché l’amore è così misteriosamente esclusivo? Si possono avere mille amici, ma si deve amare una sola persona. Non è il caso di parlare degli harem: io sto parlando della danza, non della ginnastica. O si può forse immaginare un portentoso turco che ami ognuna delle sue quattrocento mogli come io amo te? Quando dico “due”, ho già cominciato a contare e non vi è più limite. Esiste solo un numero vero: Uno. E l’amore, a quanto pare, è l’esponente migliore di questa unicità. La vera vita di Sebastian Knight (Nabokov) . Un passo davvero profondo, che prepara il pubblico a godersi a fondo la musica dei Marlene e ad assaporare ogni singola parola, ogni singola nota, ogni singolo sguardo di Godano, che si fondeva con i volti stupiti degli spettatori, coinvolti nella magnifica interpretazione del frontman.
Aprono con alcuni pezzi tratti dall’ultimo album, tra cui “Stato d’animo”, che riesce a coinvolgere ancora di più gli spettatori, cullati dal suono lieve del violino, trasportati dalle note del basso, e deliziati dagli arpeggi di chitarra, accompagnati dalle dolci parole di Godano; poi “Musa”, un pezzo scritto in collaborazione con Paolo Conte, “111”, le cui urla entravano nei cuori degli spettatori inducendoli a riflettere sulle conseguenze dei disastri coniugali. Sublimi su “Uno”, brano ispirato al sopraccitato passo di Nabokov, che termina con la frase “Non ho mai cessato di amarti, ma non riesco più a baciarti…” facendo scappare anche qualche lacrima ai presenti. Dopo una cover dei “Diaframma”, e altri pezzi tratti da “Uno” tra cui “Fantasmi”, pezzo di forte impatto scenico e teatrale, “Negli abissi fra i palpiti”, “Sapore di miele”, Godano & company si cimentano in una deliziosa cover di Gaber, “La Libertà”, riarrangiata in chiave rock dalla band di Cuneo.
Dopo una pausa di pochi minuti, i Marlene Kuntz propongono i brani dei vecchi album, riuscendo a fondere i due stili diversi, quello alternative rock dei primi album con quello slow o rock da cantautore (cosi definito dalla critica) degli ultimi, rendendo quasi impercettibile il cambiamento di stile avvenuto negli ultimi anni. “Nuotando nell’aria” tratto da “Catartica” (1994), esibita con l’accompagnamento del violino, è stato uno dei pezzi che ha suscitato più emozioni da parte del pubblico, che si cimentava a cantare coprendo quasi la voce di Godano. Poi “Ricordo” tratto dall’album “Senza Peso” del 2000, una versione intima (cosi definita dallo stesso Godano) di “Schiele, lei, me” eseguita con pianoforte, contrabbasso e voce. Di forte impatto emotivo sono state le parole “Noi cerchiamo la bellezza ovunque”, di “Bellezza” tratta dall’album “Bianco Sporco” (2005), e “La canzone che scrivo per te”, una stupenda dedica d’amore tratta dall’album “Che cosa vedi”. Ciliegina sulla torta è stata “Ineluttabile”, tratta da “Ho ucciso paranoia”, che ha indotto le centinaia di ragazzi ad alzarsi dai rispettivi posti, desiderosi di cantare e saltare come avveniva ai vecchi concerti della band. Così i Marlene Kuntz, dopo lo “Slow Tour” del 2005, nel quale proponevano i loro pezzi in chiave “leggera” senza un eccessivo utilizzo di distorsione delle chitarre, e di urla, ritornano ad offrire le stesse emozioni di dieci anni fa, con i loro rumori e i loro suoni particolari, quasi ipnotici, eseguiti con un particolare utilizzo dei feedback e degli effetti ottenuti con gli slide, o addirittura strofinando i plettri sulle corde, come solo loro sanno fare. Dulcis in fundo, un ulteriore cover, “Impressioni di Settembre” della storica band italiana “PFM” , eseguita egregiamente dalla band di Cuneo, aggiungendo alla loro scaletta quel pizzico di storia che rende i Marlene Kuntz una degna icona della musica italiana.
Presenti tra gli spettatori in seconda fila, insieme a me, Saverio Sodano (4°D) e il Prof. Ciro Castaldo. È quasi impossibile riuscire a trasmettere anche a voi lettori, attraverso questa piccola cronaca, le emozioni che i Marlene Kuntz sono riusciti a regalarci con questo straordinario concerto, ma spero almeno di riuscire a convincervi che la musica italiana non è finita, come tutti vogliono farci credere, ma ha ancora tanto altro da rendere, soprattutto grazie ad artisti, quali i Marlene Kuntz, che riescono ad offrirci oltre al diletto, anche spunti di riflessione e di cultura, rendendoci spesso fieri di essere italiani.

Martino Giaquinto

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