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Intervista a Giusy Orbinato tra le protagoniste di “Anatomia di un miracolo”

SANT’ANSTASIA. Questa sera “Anatomia di un miracolo”, il docufilm sulla Madonna dell’Arco verrà proiettato al santuario mariano alle 20,30. Abbiamo intervistato una delle protagoniste del film, la giovane anastasiana Giusy Orbinato.

Laureata in Antropologia al Suor Orsola Benincasa con 110 e lode, Giusy Orbinato è lei la spina dorsale del docufilm “Anatomia di un miracolo”. Con la regia di Alessandra Celesia, il film è centrato sulla devozione della Madonna dell’Arco che finalmente questa sera torna dove tutto ha avuto origine. Dopo un successo internazionale, è arrivato il momento che “Anatomia di un miracolo” venga proiettato a casa sua, cioè nel santuario mariano. Tre le donne protagoniste: Giusy, Sue e Fabiana. Loro con il loro bagaglio doloroso e con storie diverse incontrano “A mamma ‘e ll’Arc”. La chiave di volta del docufilm è stata la tesi di Giusy, è lei quindi l’organo vitale di tutta l’opera. Ore e ore di interviste ai fujenti, con il loro dolore, la loro fede passionale e sconfinata. Anni di convivenza con la Madonna dell’Arco, la sua camera da letto è posta di fronte al santuario. Giusy è ipovedente dalla nascita, e dalla nascita è costretta a vivere su una sedia a rotelle, ma questo non ha limitato la sua immensa bravura e creatività. Lei, guerriera inarrestabile, ha reso la sua disabilità punto di forza, il suo conflittuale rapporto con la fede  l’ha portata a studiarla, ad approfondire empiricamente quelle richieste disperate di miracolo.  Abbiamo posto a Giusy, giusto qualche domanda per capire l’essenza di ciò che verrà proiettato questa sera alle 20,30 al santuario.

Tutto parte dalla sua tesi di laurea in Antropologia?

Sì, la tesi fu elaborata insieme alla docente di Antropologia Elisabetta Moro e lei mi comunicò che c’era una regista francese, Alessandra Celesia intenzionata a creare un film sulla Madonna dell’Arco. Lei si occupa di documentari e dopo aver letto la mia tesi è iniziata questa collaborazione. L’idea era quello di concentrarci sul livido della Madonna, che oltre a portare dolore, porta anche miracoli. Intorno a questo livido ci sono tre donne, io con la mia disabilità, poi c’è Sue una pianista coreana arrivata a Napoli per insegnare musica ai bambini dei quartieri disagiati. Lei cerca il miracolo della maternità e attraverso la musica si avvicina a Dio. L’altro personaggio, protagonista del docufilm, è Fabiana cattolica fervente. Lei è trans e fatica ad integrarsi nel tessuto napoletano, ma questo non diminuisce la sua forza anzi la rende ancora più forte. Tutto ruota intorno al lunedì in Albis, dove nel docufilm mi sono completamente immersa. Sono stata accolta ed avvolta dai fujenti, nonostante sia atea, io ho un gran rispetto del loro culto e del santuario.

Naturalmente la storia di queste tre donne è autobiografica, ma come ha conosciuto le altre protagoniste del film?

Durante le riprese, che sono durate cinque mesi, non ho mai incontrato le altre due protagoniste, le ho conosciute dopo. Siamo tre donne che viaggiano con le loro storie su binari diversi.

Dopo le proiezioni italiane ed estere, finalmente “Anatomia di un miracolo” stasera ritorna a casa? 

A Sant’Anastasia arriva per la prima volta. Abbiamo preso questa decisione perchè è partito tutto proprio da qui, dal santuario ed è giusto che il cerchio si chiuda da dove è nato. Bisogna restituirlo ai fujenti.

 

 

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