SOMMA VESUVIANA. Il “poeta della verità”, Giacomo Leopardi, è considerato un maestro per i poeti moderni. Queste parole, che sintetizzano un po’ciò che il poeta rappresenta, sono state pronunciate del professore e critico letterario Raffaele Urraro nell’ambito del convegno (tenuto martedì scorso a Somma Vesuviana nello “spazio creattivo” di Mario Sodano) dedicato proprio al fare poetico del giovane genio di Recanati.
Raffaele Urraro ha condotto davvero uno studio minuzioso su Leopardi e ha regalato al pubblico in sala una magistrale lezione. Partendo dagli inizi, dal 1809 quando il poeta aveva solo 11 anni e scrisse il suo primo componimento “La morte di Ettore”, si è soffermato poi su alcune tappe fondamentali (gli anni dello “studio matto e disperatissimo”, il rapporto con Recanati e i genitori, per citarne solo alcune) per comprendere pienamente la personalità e quindi la poetica di Leopardi.
Sicuramente il picco massimo di attenzione tra gli ascoltatori c’è stato nel momento in cui Urraro ha iniziato a parlare de “L’infinito”.
Leopardi “ è poeta e filosofo e a lui bisogna riconoscere un posto preciso all’interno della storia della filosofia – ha dichiarato Urraro – “ e L’ Infinito è un testo di una eccezionale struttura ed è una poesia davvero elevata, impregnata di pensiero filosofico e, per essere compreso, deve essere studiato nelle sue profondità strutturali”. Urraro ha letto i vari abbozzi che Leopardi aveva prodotto de “L’ Infinito”, prima di arrivare alla versione che tutti noi conosciamo, e ha mostrato come il poeta è arrivato alla versione finale, elencando e confrontando gli elementi che erano presenti già o hanno avuto una lieve mutazione : inizialmente, Leopardi, parla di “sponda” e “roveto”, che impedisce alla vista di spaziare e costringe all’ immaginazione, ed è assente “la siepe”; nel secondo abbozzo è presente “interminato spazio” o “vasto orizzonte” per citarne solo alcune.
Da “L‘Infinito” e dalla concezione di vita basata sulle illusioni e sul piacere di immaginare scaturito anche da ciò che ostacola la stessa immaginazione, Urraro introduce un altro famoso componimento: “A Silvia” soffermandosi su un mondo di illusioni che viene costruito con un linguaggio positivo che poi sfocia in un processo di nientificazione in cui il poeta si scontra con la realtà e si rende conto di non poter provare fino in fondo queste illusioni.
Da sottolineare, in questa poesia, l’importanza che assume l’utilizzo di verbi come “rimembri”. Urraro, infatti, tiene particolarmente a far presente che “ il verbo è importante per comprendere l’atteggiamento del poeta, rimembrare implica, rispetto al ricordare, una componente attiva di volontà del soggetto”. Domande esistenziali e la presenza di anagrammi in questo testo concorrono poi ad amplificare la genialità.
In ultima analisi, non per importanza, Urraro è soffermato su “Il sabato del Villaggio” in un breve confronto con “La quiete dopo la tempesta” in cui è presente – spiega – “una conclusione negativa prettamente filosofica dell’annullamento di ogni positività”.
Nella prima poesia, il sabato visto come giorno di speranza e di gioia nell’attesa, non c’è una parte prettamente negativa in cui egli ammette con freddezza la realtà. Leopardi, dopo una dettagliata descrizione della “donzelletta”, mostra il suo stato d’animo, quella consapevolezza mista a compassione verso i suoi personaggi. “ Se non ci fosse la parte filosofica – spiega Urraro – la prima parte sarebbe insignificante – e continua dichiarando che – Leopardi, annullando ogni positività di illusione trasforma questi personaggi in un qualcosa di altamente drammatico e cioè persone condannate all’infelicità e consiglia di non affrettarsi per arrivare all’età matura”.
Un convegno eccellente questo curato da Raffaele Urraro, che ha riassunto in un ora e mezza argomenti importanti mostrando come Leopardi abbia, nella sua poesia, armonia, ricerca nelle parole e contenuto filosofico tale da annoverarlo tra i padri della poesia della verità.

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