Home Cultura e Spettacoli Nascono archivio sociolinguistico e mnemoteche campane

Nascono archivio sociolinguistico e mnemoteche campane

di Rosa Auriemma

ARIANO IRPINO (AVELLINO). L’Archivio sociolinguistico e le mnemoteche del Territorio Campano:
‘ La dimensione linguistica dei beni culturali’.

Il 14 e 15 novembre è stato inaugurato l’Archivio sociolinguistico del Territorio Campano coordinato da Rosanna Sornicola, al quale hanno collaborato numerosi studiosi dell’Università di Napoli Federico II; musei multimediali caratterizzati da una rete di mnemoteche con sedi ad Ariano Irpino, Greci, S. Mango sul Calore e Sessa Aurunca, nelle cui trasposizioni visive si illustrano spaccati di vita quotidiana attraverso testimonianze scritte, parlate, immagini e filmati ora fruibili e a disposizione di tutti.
Un progetto in cui sociolinguistica e dialettologia si fondono, nel comune obbiettivo di studiare e raccontare soprattutto attraverso i fatti linguistici e il polimorfismo delle sue varianti, la facies storica e la compagine socio-culturale di un territorio; le mnemoteche infatti, nate dall’osmosi e collaborazione tra studiosi di formazione diversa, scienziati del linguaggio umano e scienziati del “linguaggio macchina”, sono ‘arcani ipertestuali’, ponti sul micro-cosmo linguistico dei territori irpini, lenti di ingrandimento in cui si riflette la storia e la cultura delle comunità campane: tradizioni, passato, identità, attraverso lo studio della lingua che, come sottolinea lo storico Galasso, ospite dell’evento, né è la forma nativa.
Per l’occasione si è tenuto un convegno dal titolo: La dimensione linguistica dei beni culturali, in cui non è mancata la disputa accademica in merito al problema di definizione preliminare dei beni linguistici: se le tradizioni folcloriche, dialetti, espressioni intangibili delle facoltà umane che nascono da una dimensione mentale e spirituale, debbano essere considerate ‘materiali’ in quanto fisiche, poiché il fonema di una lingua/dialetto si articola producendo onde sonore (seppur evanescenti) come ha sostenuto Galasso; oppure ‘immateriali’ poiché non codificabili e percepibili senza la capacità umana di comprenderle, come ha sottolineato Paolo Paolini, professore di Informatica Grafica e Coordinatore scientifico del laboratorio HOC del Politecnico di Milano. Due volti della stessa medaglia, due caratteristiche fondamentali e indissolubili del linguaggio, colte attraverso differenti punti di vista: quello dell’umanista e dell’ingegnere informatico.
Nella giornata del 14 si è posto anche il problema relativo allo stato di conservazione e cura dei musei italiani e alla necessità di fornire essi di strumenti comunicativi più efficaci, ad esempio nel caso emblematico delle didascalie che, spesso risultano incomprensibili e noiose al visitatore inesperto: meri elenchi asettici i quali non fanno altro che aumentare la distanza tra la dimensione spaziale e culturale della storia e quella mentale del fruitore; questi, non riuscendo ad entrare empaticamente in contatto con l’opera, in assenza di una cornice linguistica che ne favorisca la comprensione, percepisce come estranei i beni culturali.
A tal proposito Paolini sottolinea la necessità di formare oggi una nuova figura, quella del “trasformatore di contenuti culturali” ossia, un intermediario che possa veicolare le informazioni ad un pubblico più vasto, rimproverando gli intellettuali di tralasciare spesso tale importante compito; ciò può avvenire attraverso la collaborazione di ingegneri informatici e ‘ingegneri del linguaggio’ che possano essere in grado di riempire macro-contenitori ipertestuali messi a disposizione dalla tecnologia, attraverso conoscenze intertestuali , al fine di adeguarle alla comprensione di tutti.
Gli ospiti intervenuti hanno raccontato di altri progetti simili alla mnemoteche, ai quali ad esempio ricercatori e studiosi dell’ Orientale di Napoli stanno lavorando in altre parti del mondo, è il caso dell’Atlante della cultura materiale tradizionale dell’Africa illustrata da Giorgio Banfi: nella raccolta di materiale etnografico e linguistico, si registrano le nomenclature degli oggetti tradizionali della minoranza Saho, come utensili in terracotta progressivamente andati in disuso e sostituiti da oggetti in metallo di provenienza cinese.
In Eritrea la maggior parte dei parlanti sono musulmani e prevalentemente pastori spiega il linguista, Saho è solo una minoranza delle numerose etnie, quindi, coesiste una moltitudine di dialetti ed è possibile registrare la variazione di una lingua anche all’interno di una stessa comunità.
Nella giornata del 15 novembre a Greci , il dialettologo Tullio Telmon ha spiegato al pubblico arbëreshë quale sia il campo di ricerca della dialettologia, cioè lo studio della variazione, in quanto i dialetti a differenza della lingua standard si caratterizzano per l’intrinseco polimorfismo e in ciò risiede il fascino della materia e l’importanza della ricerca. Tuttavia, in merito al tema dell’insegnamento del dialetto nella scuola si mostra contrario, non solo, sottolinea la pericolosità di forme di campanilismo deleterie per le sorti degli stessi dialetti. L’orgoglio dei parlanti delle “minimanze” linguistiche (varianti dei dialetti regionali), è motivo di vanto sostiene Telmon, dal momento che tutta la comunità linguistica italiana si è impadronita dell’italiano; purtroppo dopo la legge 482, si è dato avvio alla rincorsa all’essere minoranza per rivendicare riconoscimenti, che hanno dato luogo a prospettive non sempre positive.
Secondo lo studioso, in casi del genere si ricerca non più la varietà, non si rintraccia più nel polimorfismo linguistico la peculiarità di un dialetto, ma una nuova supposta unitarietà: ad esempio se una minoranza linguistica campana avanza la richiesta del napoletano come varietà da imporre, attraverso la creazione a tavolino di una varietà standard ideale da parte di ‘ingeneri del linguaggio’, il risultato è la creazione di una lingua mai esistita.
Telmon inoltre, si mostra contrario all’insegnamento del dialetto a scuola anche perché tale costrizione normativa ne contrasta l’intrinseca vitalità, il parlante infatti non ha bisogno di una norma ma della fondamentale trasmissione intergenerazionale, se essa viene a mancare una lingua muore, e non può di certo essere resuscitata costruendone una fittizia. ‘E il caso del Piemonte occidentale che annovera tre minoranze linguistiche: occitano, franco-provenzale e francese. Spiega lo studioso che il franco provenzale in realtà non esiste, è un fantasma, un nome inventato da un linguista italiano nella seconda metà dell’800, il quale, constantando come nell’esagono della Francia vi fossero lingue imparentate con l’aria nord e altre con l’occitano a sud, quelle che sfuggivano a tale classificazione o avevano caratteristiche di entrambe, vennero definite franco-provenzali ; ma sarebbe ridicolo parlare di un popolo franco-provenzale dato che tale etnia è una pura invenzione intellettualistica.
Non ha senso quindi, secondo il linguista, l’insegnamento scolastico del dialetto poiché costringerebbe alla trascrizione della norma ciò che non l’ha avuta mai, ma che si è trasmessa naturalmente da padre in figlio. In virtù di ciò, esorta i grecesi che non vogliano si estingua l’ arbëreshë e quindi la loro cultura, ad insegnarlo ai propri figli, mentre a scuola viene insegnato loro l’italiano, senza temere che in questo modo gli sia precluso l’insegnamento della nostra lingua comune, in quanto la mente non è sottoposta a compartimenti stagni e non solo si possono apprendere più lingue, ma l’apprendimento di una lingua consente l’accesso alle altre; quindi, più lingue si conosco più la mente è predisposta ad impararne.
Nelle due giornate del convegno, in occasione dell’inaugurazione, erano presenti i rappresentanti delle istituzioni e i cittadini in quanto, le mnemoteche sono rivolte in primo luogo alle comunità studiate, che hanno contribuito ad alimentare l’archivio attraverso le proprie testimonianze.
Nella Mnemoteca di Ariano Irpino ospitata da Biogem, centro di ricerca di Biologia e genetica molecolare, viene data voce ai pastori e al loro racconto della transumanza illustrato da Giovanni Abete; a Greci avvalendosi della sua sensibilità di sociolinguista, Emma Milano ha ricostruito la storia della minoranza di lingua arbëreshë, albanesi stabilitisi in Iitalia meridionale in seguito all’espansione dell’impero ottomano, ne ha studiato i fonemi irrigiditi dagli ingranaggi del tempo e sull’orlo della dimenticanza se non tramandati alle giovani generazioni. Nella mnemoteca di Sessa Auruna invece, è possibile visionare la trasposizione visiva delle testimonianze e delle lettere degli immigrati della comunità, raccolte dalla giovane studiosa Margherita Di Salvo.
Infine, la mnemoteca di San Mango sul Calore coordinata da Nicola De Blasi, si articola in diversi percorsi: la storia del paese, il terremoto, i monumenti, l’emigrazione, gli antichi lavori, le feste religiose , la lingua; la perizia del linguista e del dialettologo riconsegna il passato alla memoria, intrecciandone le trame, ricucendo i vuoti fisici ed emotivi provocati dal terremoto del 1980, attraverso l’ordito della storia , ricostruisce le immagini del prima e del dopo la catastrofe, filologicamente.

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