Somma Vesuviana. Avvocati e medici al centro del procedimento penale che è scaturito dall’inchiesta “Jordanus” portata a termine nel 2013 dai carabinieri e dalla guardia di finanza delle Compagnie di Nola. Ieri l’udienza Gup per 41 degli oltre 400 indagati che furono coinvolti tre anni fa nell’inchiesta coordinata della procura nolana.
Nel corso dell’udienza, che avrebbe dovuto stabilire del loro rinvio a giudizio, si è proceduto con alcune eccezioni mosse dai legali degli indagati, alcuni di questi hanno sostenuto che per loro il reato si sarebbe compiuto ad Avellino (nei loro studi professionali) soprattutto per la parte inerente “l’alterazione di valori da bollo” e per questo chiedevano il trasferimento di competenze ad altro tribunale. Altri invece, almeno due casi, avrebbero registrato difetti di notifica. Tra i 41 interessati dall’udienza di ieri anche il consigliere comunale di Somma Vesuviana Giovanni Bianco, eletto nelle liste dell’Aurora e che siede tra i banchi della maggioranza a sostegno del sindaco Pasquale Piccolo. Bianco, nella vita avvocato, e con lui i legali Marco Coppola di Somma e Rossella Ranieri, di San Giuseppe Vesuviano (due degli avvocati per cui nel novembre del 2013 fu disposta l’interdizione dall’esercizio dell’attività forense), con loro il medico sommese Cesare Di Palma (considerato una delle menti dell’intera operazione) e Salvatore Duraccio, medico di Ottaviano allora in servizio presso il pronto soccorso ospedale Loreto Mare di Napoli che subì l’interdizione dall’esercizio attività medica. Fu Di Palma a raccontare, in un interrogatorio del 2011, il significato di alcune parole che erano state registrate dalle “cimici” e a spiegare il “tariffario” usato . Si andava dai 5 ai 10 euro per una relazione medica, dai 30-100 euro per gli esami strumentali e relazioni, dai 100-150 per i referti ospedalieri. I medici e gli avvocati coinvolti, intercettati, infatti utilizzavano termini criptici per tutelarsi, ad esempio la documentazione medica falsa ed i primi referti del pronto soccorso venivano chiamati “bottiglie di vino”, “rappezzo e guaina” la documentazione falsa, “imbasciata” per indicare i componenti per la documentazione procurata e “hotel” per gli ospedali. In alcuni casi gli esami clinici utilizzati per completare le pratiche di risarcimento erano relativi a parti del corpo diverse da quelle indicate negli incidenti. In diversi fascicoli, ad esempio, c’erano radiografie di braccia collegate però ad un risarcimento per danni subiti da una gamba. Capitava anche che a farsi radiografare fossero gli stessi medici, incuranti dei danni che potevano subire a causa della sovraesposizione alle radiazioni. Tutto per arrivare ad ottenere presto cospicui risarcimenti. A Bianco, gli inquirenti, imputano che “nell’esercizio della sua attività legale aveva avanzato a vari istituti assicurativi richiesta di risarcimento con riferimento con danni asseritamente occorsi nel corso di sinistri stradali mai verificatisi”. La “macchina della truffa” era così ben congeniata che al fine di accelerare le pratiche ed evitare di essere scoperti alcuni dei medici e avvocati coinvolti erano arrivati addirittura ad acquistare delle apparecchiature sanitarie particolarmente costose, tra cui un ecografo di ultima generazione, utilizzato proprio in uno studio medico di Somma Vesuviana. Qui la notte i componenti dell’organizzazione si riunivano per formare le false certificazione e dividersi il provento dell’attività illecita che andava dai 100 euro per un solo certificato falso ai 1500 per un intero sinistro.
DA CRONACHE DEL VESUVIANO DELL’11 MARZO

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