venerdì 29 Marzo 2024
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Lo psichiatra Lanzaro: “Perché fa bene indossare mascherine colorate”

Napoli. Una riflessione di Massimo Lanzaro dirigente medico di Psichiatria, Psicoterapeuta, Responsabile Servizio Esordi e Prevenzione dell’ASL NA 2
su uno dei dispositivi che dobbiamo utilizzare e che stanno diventando parte fondamentale della nostra vita.

Sono la “protesi richiesta per evitare il contagio”, ovvero le mascherine, che ci appartengono ormai, e che si vedono sempre più spesso colorate e personalizzate con disegni vari. Questa a mio modesto avviso è una forma importante di difesa se non di catarsi rispetto alla paura del contagio e della malattia. La si può quasi considerare una forma di arte personale: chi ha disegnato un felino feroce, chi un cobra, chi un velo nuziale, chi macchie di colore in stile postmoderno. Cosa esprimono in realtà questi disegni? Un qualcosa che ha origini molto profonde.
Fu Sifneos nel 1973 a usare il termine alessitimia “alfa privativa”, “mancanza di” parole, del “logos” per le emozioni, per esprimere le emozioni e più precisamente il consenso in letteratura è difficoltà di identificare le emozioni, i sentimenti, e di distinguerli dalle sensazioni somatiche, difficoltà nel descrivere e comunicare le emozioni e i sentimenti alle altre persone.
L’alessitimia è uno dei fattori in grado di aumentare la suscettibilità generale alla malattia, perché negli alessitimici le emozioni non trasformate, non verbalizzate o espresse attraverso le rappresentazioni mentali simboliche e l’espressione verbale verrebbero scaricate nel corpo attraverso o i percorsi autonomici o quelli ormonali, l’ipofisi, oppure – negli anni Ottanta è nata la psiconeuroendocrinoimmunologia – condizionando il sistema immunitario. Si sa che queste sono le strade. E che c’entra Pan? Che c’entra il panico con l’alessitimia? Allora, apriamo una parentesi. Che cos’è il disturbo d’attacchi di panico? Per poter definire un disturbo d’attacchi di panico da un punto di vista fenomenologico secondo il Dsm 5, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, è un episodio, l’attacco è un episodio ed è diverso dal disturbo di panico. L’attacco di panico si presenta come un periodo preciso di intensa paura o di disagio durante il quale arbitrariamente, dice il Dsm 5, almeno quattro dei seguenti sintomi si devono sviluppare e raggiunge un picco, un parossismo, in dieci minuti: palpitazioni, sudorazione, tremori fini, dispnea, sensazione di asfissia o di soffocamento, dolore o fastidio al petto, nausea, sensazione di sbandamento, derealizzazione, depersonalizzazione, paura di perdere il controllo, paura di morire, parestesie (cioè i formicolii), i brividi o vampate di calore. Il disturbo di panico è quando gli attacchi di panico diventano ricorrenti e s’istaura la cosiddetta paura, il timore di averne altri.
Allora la mia idea pensando alla parola panico (dicono sia in aumento: “il panico da virus”). Panico viene da Pan e, come diceva James Hillman: gli dei che abbiamo trascurato sono diventati sintomi o malattie. Pan che probabilmente in un certo qual senso attraverso il costrutto dell’alessitimia nelle persone alessitimiche viene represso, si esprime attraverso il sintomo panico. Nel mio immaginario, nella mia riflessione, c’è proprio questo continuum tra il sintomo diabolico (“dia ballo”) del panico e dall’altra parte il simbolo (“dia ballon”, il simbolico, il numinoso) quando Pan viene espresso come per esempio nell’arte in generale o più in particolare nella body art (di cui la mascherina, come un tatuaggio è a tutti gli effetti un esempio). Lungo questo continuum tra chi non esprime e quindi arriva al sintomo e chi quindi invece esprime il numinoso, il simbolo, vedo da qualche parte i tatuaggi. I tatuaggi erano considerati la sfida dell’individuo contro le regole convenzionali della società (la mascherina è la sfida alla malattia che ognuno intraprende “a modo suo”, “con le armi (disegni) di cui dispone, che lo/a rappresentano), ed era diffusa la pratica dei tatuaggi nel mondo penitenziario dove sanciva l’appartenenza a gruppi o sottogruppi, esattamente come avveniva nelle tribù primitive. Ora, procedendo in continuum nell’analisi di questo fenomeno a cui ho accennato prima, ho immaginato che un successivo gradino fosse individuabile nell’arte estrema contemporanea. Non so se qualcuno ha sentito parlare delle persone che nominerò, sicuramente è una dimensione artistica peculiare, ma dal mio punto di vista rappresenta appunto l’estremo di un continuum anche perché queste sono delle esperienze estreme. Esempio, le esperienze scioccanti di Franco B, artista performer italo-britannico, che si faceva tramortire, torturare, adesso glielo hanno impedito, non le fa più queste cose, le ha fatte fino alla fine degli anni Novanta, praticamente. E perché faceva queste cose? Da un lato lui mimava le limitazioni che il corpo manifesta in alcune situazioni però in certo qual modo prima che il sintomo si prenda il mio corpo, io lo esprimo volontariamente, esprimo la mia sofferenza o la mia paura, esprimo una critica dell’istituzione sociale (e tutte le sue autocertificazioni), io inverto i processi di somatizzazione e produco le immagini di Pan prima che pan s’impadronisca di me. Io non ho più paura di mostrare le mie vergogne. Non ho timore di esprimere attraverso le immagini sulle mascherine il mio stato affettivo: sono il contrario dell’alessitimia.
Tornando all’idea che col termine di body art s’intende tutte quelle forme artistiche che utilizzano consapevolmente il corpo come mezzo di espressione attraverso il simbolo (nel nostro caso il volto su cui va la mascherina dipinta), l’alessitimico inconsapevolmente utilizzerebbe il corpo come mezzo di espressione attraverso il sintomo (mi spingo al punto di pensare che chi ha una mascherina bianca o neutra ha più probabilità di covare sofferenza, che sia più o meno inconscia. Ribadisco questa cosa. Il simbolo simbolico nell’arte, nel disegno, nell’esprimere in qualche modo. Il sintomo diabolico (“dia ballo”) la disintegrazione, la non integrazione nel sintomo dell’alessitimico. La cosa che mi premeva è questa suggestione del sintomo e del simbolo come estremi di un continuum mediati da Pan e dall’alessitimia e volevo concludere leggendovi un po’ cosa dice James Hillman nel suo saggio su Pan pubblicato da Adelphi, bellissimo, su Pan appunto. Per darci l’idea della qualità di Pan. “Pan è il dio capro, a questa configurazione di natura animale qualifica la natura personificandola come qualcosa di fallico, caprigno, assertivo”. L’inquietante mistero della natura comprende la malattia. Per afferrare Pan come natura dobbiamo prima essere”, cioè se noi non afferriamo Pan come natura, Pan afferra noi come panico. “Dobbiamo essere afferrati dalla natura, da dentro e da fuori, una campagna deserta che parla con suoni e non con parole. Possiamo dire che il mondo della natura”, questo sempre James Hillman, “il mondo di Pan, è in un continuo stato di panico subliminale e al tempo stesso in un continuo stato di eccitazione”. E questa riflessione anche trovo utile per concludere. “Noi non possiamo ripristinare”, dice James Hillman, “un rapporto armonioso con la natura semplicemente limitandoci a studiarla”, cioè con la cognizione, con la dimensione cognitiva. Anche la preoccupazione ecologica è ancora cognitiva, non possiamo venire a capo della natura solo con l’ecologia. “Finché facciamo così Pan rimane sempre represso nella psiche, e natura e istinto non potranno che andare in malora quali che siano i nostri sforzi a livello razionale per mantenere le cose apposto. Se si vuole restaurare, conservare e promuovere la natura là fuori e dentro di noi deve essere restaurata, conservata e promossa in egual misura a livello emotivo”. Anche indossando una mascherina molto colorata, che parli di noi stessi.

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