lunedì 17 Giugno 2024
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Regione Lirica, terzo appuntamento per il Teatro San Carlo

Napoli. Juraj Valčuha dirige Prokof’ev e Chačaturjan
mercoledì 7 luglio 2021 ore 20,15.

Giunge al terzo appuntamento Regione Lirica, manifestazione del Teatro di San Carlo in Piazza del Plebiscito sostenuta dalla Regione Campania.
Dopo il successo di Carmen e del Balletto La bella addormentata / Il Lago dei cigni
sarà la volta del concerto che vedrà protagonisti mercoledì 7 luglio 2021 alle ore
20,15 l’Orchestra e il Coro del Teatro di San Carlo.
Sul podio Juraj Valčuha che dirigerà la Suite n. 2 per orchestra, tratta dal balletto in
tre atti Spartacus di Aram Chačaturjan e la cantata di Sergej Prokof'ev Alexander
Nevskij Op. 78.
Mezzosoprano Ekaterina Semenchuck, Maestro del Coro Josè Luis Basso.
Guida all’ascolto tratta dal programma di sala
Voci dalla Russia nel Novecento:
Aram Chačaturjan e Sergej Prokof’ev

La libertà! La vera libertà, non quella a parole, non
quella delle rivendicazioni, ma una libertà caduta dal
cielo, superiore a ogni aspettativa. È una libertà ottenuta
per caso, per un malinteso.
(B. Pasternak, Il dottor Živago)
Sergej Sergeevič Prokof’ev (1891-1953) e Aram Il’ič Chačaturjan (1903-1978), nati a poco più di
dieci anni di distanza, hanno entrambi vissuto le turbolenze della prima metà del XX secolo,
oscillando tra un sentimento di piena adesione al più puro spirito russo e alle sue più alte espressioni

e la necessità di convivere, tragicamente, con un regime violento, antidemocratico e illiberale. I due
compositori, oltre alle comuni radici culturali, hanno condiviso almeno tre episodi importanti.
1943. Il secondo conflitto mondiale è a un punto di svolta e Stalin, galvanizzato dal riuscito
respingimento delle truppe tedesche da Stalingrado, sente prossima la vittoria. È convinto che
l’Unione Sovietica, a guerra finita, sarebbe diventata una superpotenza mondiale e che, come tale,
avrebbe dovuto dotarsi di un inno nazionale adeguato alle proprie ambizioni e al proprio ruolo
futuro. Al concorso indetto per l’occasione giungono centinaia di proposte, tra le quali quelle di
Šostakovič, Prokof’ev e Chačaturjan. Arriveranno in finale gli inni di Šostakovič e di Chačaturjan,
che otterranno un dieci da Stalin, il quale però, pur riconoscendone l’originalità, li considererà
inadeguati. Sarà invece scelto il lavoro di Aleksandr Aleksandrov.
Di lì a poco, Prokof’ev e Chačaturjan incroceranno nuovamente i propri destini, questa volta in una
cornice meno rassicurante. Un piccolo passo indietro. Dalla metà degli anni Trenta, in molti si
troveranno a dover mediare tra la propria libertà creativa, la professione di compositore e le
direttive di Andrej Ždanov, protagonista indiscusso della politica culturale sovietica e sostenitore di
una ferrea censura contro le opere “formaliste”, perciò stesso, considerate degenerate. Il culmine si
tocca con la storica risoluzione del Comitato Centrale del PCUS del 10 febbraio 1948, con la quale
vengono condannati diversi compositori, compresi Prokof’ev e Chačaturjan, «nella cui opera le
perversioni formalistiche e le tendenze antidemocratiche sono particolarmente appariscenti».
Entrambi i compositori cercano di attutire il colpo o autoisolandosi, come nel caso di Prokof’ev, o
ammettendo le proprie “colpe”, come nel caso di Chačaturjan. A prescindere dalle loro scelte, i due
saranno tuttavia pienamente riabilitati nel 1958, con l’annullamento formale della famigerata
risoluzione. A rafforzare questo processo di riscatto, arriva anche il conferimento, rispettivamente
nel 1957 e nel 1959, di uno tra i più alti riconoscimenti dell’Unione Sovietica, il Premio Lenin, sia a
Prokof’ev, per la Sinfonia n. 7, sia a Chačaturjan, per il balletto Spartacus.
Spartacus
La Suite n. 2 per orchestra, tratta dal balletto in tre atti Spartacus, fa parte di una serie di tre suite
che il compositore russo scrive nel 1955 e alle quali se ne aggiungerà una quarta, pubblicata nel
1958. La seconda suite si articola in quattro brani che ripercorrono alcuni dei momenti più intensi
dell’opera, intitolati Adagio di Spartaco e Frigia; Entrata dei mercanti – Danza di una cortigiana
romana – Danza generale; Entrata di Spartaco – Lite – Tradimento di Armodio; Danza dei pirati.
Il balletto, concluso nel 1954, ha come protagonista lo schiavo trace Spartaco, personaggio simbolo
nell’immaginario rivoluzionario di ogni tempo, considerato da Karl Marx una delle figure più
eccezionali della storia antica, «un grande generale (non come Garibaldi), dal carattere nobile, vero
rappresentante del proletariato antico». Potrebbe sembrare che l’obiettivo di Chačaturjan fosse
quello di realizzare un’opera militante, con la quale esortare alla lotta sociale. Alcuni, invece,
considerano a malapena riconoscibile l’eventuale allegoria della lotta del popolo contro la tirannia
zarista. Ad ogni modo, sebbene le autorità considerassero questa lettura funzionale al proprio
impianto ideologico, quasi certamente il compositore, che già aveva vissuto l’esperienza
drammatica della censura, ha cercato di alludere velatamente a un’altra forma di oppressione: non
quella zarista ma proprio quella dell’apparato politico sovietico sul popolo.
Il successo non arriverà in occasione della première a Leningrado del 1956 e, quando giungerà, sarà
ascrivibile non tanto alla coreografia o alla storia narrata, quanto alla musica. Ritmi accentuati,
venature postromantiche (che non di rado oscillano tra un raffinato lirismo e un certo
sentimentalismo) ed echi dalla tradizione musicale popolare armena si combinano in una sorta di
quadro vivente dalle tinte estremamente dinamiche e cariche di energia.
Tutto questo caratterizza anche le suite, compresa la seconda, che si apre con il celebre Adagio, il
cui tema diventerà così famoso da essere utilizzato per la colonna sonora della serie tv BBC The
Onedin Line, popolarissima tra il 1971 e il 1980. La suite è attraversata da momenti di grande
trasporto ritmico, preparato dagli archi e affidato alle percussioni in dialogo con gli ottoni, che si
muovono tra ostinato e sincopato. In questo dialogo, nel quale gli archi si inseriscono con brevi

incisi dal carattere schiettamente russo, momenti di intensa energia si succedono a intimi e sensuali
interventi del clarinetto e del violino di spalla. Fin dal secondo brano e per tutto il decorso musicale,
emerge il “contrasto” come elemento specifico e strutturante, il quale compare a tutti i livelli (in
modo meno evidente in quello armonico): strumentazione, motivi, ritmi. Tutto è giocato su
un’efficacissima dialettica tra elementi opposti che, attraversando l’intera curva dinamica, alterna a
una scansione ritmica travolgente momenti di lirica distensione e che confluisce nel galoppante e
“piratesco” finale.
Aleksandr Nevskij
Un marcato carattere epicoidentitario è presente nella musica scritta da Prokof’ev per il film
Aleksandr Nevskij di Ejzenštejn e dalla quale il compositore ha tratto la Cantata per mezzosoprano,
coro e orchestra op. 78, su testi di Vladimir Lugovskij, eseguita per la prima volta il 17 maggio
1939 in occasione del XVIII congresso del Partito Comunista Sovietico.
Gli ultimi due decenni di vita e di attività di Prokof’ev, al cui interno ricade Aleksandr Nevskij e che
coincidono con il ritorno in patria del compositore, restituiscono l’immagine di un autore teso verso
un sincretismo linguistico e stilistico che, sempre più spesso, si combina con l’identità e la cultura
propriamente russe. Certo, moltissimi lavori non avranno alcun rapporto diretto con il mondo russo,
come ad esempio Romeo e Giulietta e tutta la musica strumentale che scriverà fino al 1953.
Tuttavia, emergerà con sempre maggiore evidenza il profondo legame che Prokof’ev ha custodito
nei confronti dell’intero complesso immaginario della sua terra, fatto di slanci epici e di poeticità
raffinata, di fulgidi impeti e di tragiche consapevolezze. In questo quadro, si inserisce la
collaborazione con alcuni registi sovietici, frutto anche del suo spiccato interesse nei confronti del
cinema.
Dall’inizio degli anni Trenta fino alla sua morte, Prokof’ev prende in considerazione una ventina di
offerte per progetti cinematografici e alla fine ne accetta e completa otto, lavorando con sei registi
diversi. Tra questi, figura il più importante cineasta sovietico, Sergej Ejzenštejn (1898-1948), che,
con Aleksandr Nevskij (1938), realizza una grandiosa ricostruzione della vittoria conseguita dal
principe Nevskij contro i Teutoni nel 1242. La musica scritta per il film, seppur con tagli e
interventi sull’orchestrazione, diventerà poi la Cantata op. 78.
Dal punto di vista simbolico, c’è chi ha individuato un implicito riferimento alla Germania nazista e
il fatto che il film sia stato ritirato poco dopo la firma del patto di non belligeranza con la Russia (23
agosto 1939) sta solo a indicare la volontà di non creare pericolosi e imbarazzanti malintesi. Più
probabilmente, quindi, si tratta della volontà di celebrare uno dei momenti gloriosi della storia
russa, in un quadro storico, questo sì, complesso e instabile. Dal punto di vista musicale, scrive
Prokof’ev, la tentazione di utilizzare musica dell’epoca è stata grande. Tuttavia, quella musica
sarebbe risultata troppo lontana ed emotivamente estranea allo spettatore del XX secolo, la cui
immaginazione, quindi, non sarebbe stata adeguatamente stimolata.
La cantata è articolata in sette episodi che ripercorrono i momenti salienti della vicenda (La Russia
sotto il giogo dei Mongoli, Canto su Aleksandr Nevskij, I crociati a Pskov, Insorgi, popolo russo!,
La battaglia sul ghiaccio, Il campo della morte, Entrata di Aleksandr Nevskij a Pskov). Prokof’ev –
che dimostra di aver interiorizzato e personalizzato la lezione di Borodin e le radici epiche di buona
parte della cultura russa – con il primo brano crea un’atmosfera arcaica che pare preludere, senza
enfasi alcuna e, anzi, con un’intonazione drammatica, a qualcosa di grandioso. Nel secondo
episodio inizia a emergere il carattere epico dell’opera. Il coro, nel ricordo delle vittorie passate, che
si mescola alla minaccia rivolta a chiunque intenda marciare contro la Russia, alterna un canto lento
e dalla solida fierezza a momenti ritmicamente più incisivi. Nel terzo brano, l’arrivo dei crociati,
realizzato combinando una litania, dal carattere bellicoso, in latino (“Peregrinus expectavi, pedes
meos in cymbalis / Vincant arma crucifera! Hostis pereat!”) con sonorità dure, culmina in un
crescendo feroce che, interrotto improvvisamente dall’incedere inesorabile degli ottoni, si disperde
nel silenzio. Come per il coro dei crociati del secondo episodio, anche nel quarto compare
l’alternanza tra due canti, ma in un ordine invertito: il primo ha un carattere più marziale ed eroico,

mentre il secondo fluttua tra quieta nostalgia e nobile speranza. Il quinto episodio, quello del
combattimento sul lago di ghiaccio, è il più ampio e si presenta come l’acme dell’opera. L’iniziale
atmosfera di trepidante e vigile attesa lascia il posto alla battaglia, qui combattuta dando ai due
eserciti una netta caratterizzazione musicale: i crociati, con frammenti del loro corale, vengono
presentati per primi; seguono i russi, accompagnati da un’orchestrazione vivida ed esaltante. I temi
che contraddistinguono i due schieramenti finiscono con l’inseguirsi e il sovrapporsi, lo scontro
giunge all’apice, salvo poi piombare in un fosco e mortale silenzio. Il lago diventa un campo di
morte, luogo di lacrime e di disperazione sul quale si diffonde il canto desolato, ma tenacemente
altero, del mezzosoprano. Nell’ultimo quadro, l’ingresso a Pskov di Nevskij vittorioso è introdotto
da un solenne canto iniziale, al quale seguiranno motivi e ritmi sempre più incalzanti, luminosi e
festanti. L’invasore è scacciato, la santa Madre Russia ha vinto, la libertà è salva, una libertà
«superiore a ogni aspettativa».

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